Storia...


La seconda rivoluzione industriale

Nella seconda metà del XIX sec. in tutta Europa avviene un profondo mutamento sociale ed economico, grazie a due fattori fondamentali: le scoperte scientifiche e l'avvento del Capitalismo che portarono ad un grande avanzamento tecnologico dovuto in larga parte al "sistema industriale americano", che ricorreva alle catene di montaggio nelle fasi lavorative della costruzione e dell'assemblaggio ipotizzate da Frederick Taylor , ingegnere e imprenditore statunitense, iniziatore della ricerca sui metodi per il miglioramento dell'efficienza nella produzione (da cui il termine di "taylorismo", per riferirsi alla teoria da lui stesso elaborata).

L'Inghilterra era l'unico Paese in cui l'industria si era sviluppata sensibilmente, mentre in tutti gli altri Stati europei prevaleva un'economia di tipo agricolo. Nella seconda metà dell'Ottocento, quindi, l'industria non solo si diffuse, ma si trasformò; se l'industria tessile era stata il motore della prima rivoluzione, nella seconda presero questo ruolo due nuovi settori: la siderurgia e la chimica.

Alla fine dell'Ottocento si svilupparono anche nuove forme di energia; al carbone si affiancarono, infatti, l'energia elettrica e il petrolio. Quest'ultimo in particolare, che sarebbe poi diventato la più importante forma di energia nel nostro secolo, cominciò ad avere una grande importanza con l'invenzione del motore a scoppio.
L'industrializzazione portò un grande cambiamento nella società e nell'economia dei Paesi che toccò; i primi a seguire l'Inghilterra nell'industrializzazione furono la Francia e il Belgio nei primi decenni dell'Ottocento; poi, attorno alla metà del secolo, emersero anche Germania, Olanda, Svezia e, fuori dall'Europa, Stati Uniti e Giappone.
L'Austria, la Russia e l'Italia invece dovettero aspettare gli ultimi decenni dell'Ottocento.

Rivoluzione Industriale importante in questo periodo fu anche lo sviluppo dei trasporti (con l'espansione in tutto il mondo della rete ferroviaria e l'aumento del numero delle navi a vapore) e delle comunicazioni (con la diffusione delle reti telegrafiche). Nella seconda metà dell'Ottocento si espanse la rete stradale e vennero resi navigabili numerosi fiumi e canali. La rete ferroviaria più sviluppata era quella britannica, ma, dopo la metà del secolo, le ferrovie si diffusero rapidamente anche in Germania, in Francia e negli Stati Uniti. Lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni fu molto importante per l'industria, per due motivi: in primo luogo perché permetteva alle fabbriche di commerciare i loro prodotti in breve tempo e a grandi distanze e nello stesso tempo di ricevere le materie prime rapidamente; in secondo luogo perché per costruire le ferrovie erano necessari l'acciaio e la ghisa, che venivano richiesti in grandi quantità alle industrie siderurgiche.

Nella seconda metà dell'Ottocento altre due invenzioni contribuirono a far diventare il mondo sempre più piccolo: il telegrafo (1851) e il telefono (1876), con cui si poteva comunicare da una parte all'altra del globo dapprima con impulsi elettrici, poi con la voce. Tutte le invenzioni sopracitate non rivoluzionarono solo il mondo economico e il mondo degli affari, ma anche la vita quotidiana di ogni persona.

Con il fenomeno dell'Imperialismo iniziò una corsa sfrenata all'accaparramento delle terre africane e asiatiche, ancora lontane dalla civiltà europea. Il pianeta fu distrutto ancora una volta da una serie di conflitti ed imprese militari. L'espansione dei trasporti e delle comunicazioni ebbe anche altre conseguenze, ad esempio l'estensione e l'unificazione del mercato, ovvero l'insieme della domanda e dell'offerta delle merci. Il mercato si ampliò enormemente grazie ai nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, che permisero a ogni città, paese o villaggio di partecipare intensamente al commercio mondiale e contribuirono alla creazione di un mercato globale. Tra il 1850 e il 1870 la quantità di merci commerciate nel mondo si triplicò, espansione dovuta anche al fatto che in questo periodo prevalsero le idee economiche del liberalismo.

I liberali come Adam Smith con la mano invisibile e Say (legge degli sbocchi), sostenevano che il commercio mondiale dovesse diventare totalmente libero e che le merci, quando attraversavano le frontiere degli Stati, non dovessero essere soggette a tasse doganali (dazi), così da arricchire le nazioni e migliorare la vita di tutti. I liberali pensavano che la libera concorrenza, conseguenza dell'abolizione dei dazi, avrebbe migliorato il commercio, in quanto ogni produttore avrebbe dovuto immettere sul mercato merci di eguale qualità di quelle della concorrenza, ma a minor prezzo e che lo stesso si sarebbe determinato dal libero incontro tra domanda e offerta.

Ci fu però una crisi economica che durò, in varie fasi, dal 1873 al 1896 e che colpì sia l'economia europea sia quella statunitense. La crisi prese inizio dal settore agricolo: a causa dello sviluppo dei trasporti l'Europa venne invasa dal grano americano, prodotto a minor costo e quindi più economico di quello europeo.

Nello stesso periodo le fabbriche di tutto il mondo (ora anche quelle statunitensi e di altri Paesi neo-sviluppati) immisero sul mercato grandi quantità di merci, molto superiori alla domanda. In questo modo una parte di quelle merci rimase invenduta e gli industriali, come avevano già fatto gli agricoltori, abbassarono i prezzi per farsì che tra le merci vendute ci fossero le loro. Molti stabilimenti, di tutti i settori, fallirono, gettando sul lastrico migliaia di operai. A quel punto lo Stato, che con il liberalismo era stato estromesso dalle faccende economiche, intervenne pesantemente nell'economia . Vennero attuate politiche protezionistiche, vennero cioè aumentati in maniera esorbitante i dazi doganali per far diventare più care le merci estere e favorire quelle interne.

Il capitalismo cambia: dalla libera concorrenza ai monopoli

La crisi del 1873 provocò il fallimento di molte industrie. Furono soprattutto le piccole industrie a chiudere, in quanto non disponevano di grandi capitali, si passò al monopolio di alcune aziende in dati settori.
Le industrie maggiori invece diventavano sempre più potenti ed erano avvantaggiate dalla diminuzione della concorrenza. Si verificò un fenomeno di concentrazione industriale (in inglese trust): molte aziende si fusero insieme e crearono grosse compagnie dirette da un'unica direzione. In questo modo si riusciva ad eludere, facendola diminuire, la concorrenza e ad ottenere la supremazia su alcuni settori
Più frequente del monopolio è però l'oligopolio (dal greco oligos = poco), in cui il mercato è controllato da poche industrie. I trust decidevano liberamente i prezzi delle merci che esponevano, senza dover più tenere conto della concorrenza, ma solo regolandosi in base ai costi di produzione e alla convenienza.
All'inizio della rivoluzione industriale le industrie nascevano con i finanziamenti dei proprietari; poi però, con lo sviluppo dell'industria, furono necessari i finanziamenti delle banche, le uniche che disponevano del denaro necessario per aprire un'industria. Per questo motivo le banche divennero sempre più importanti, fino a diventare comproprietarie delle fabbriche; questa dipendenza si accentuò con la crisi di fine secolo e in molti casi le industrie e le banche erano di proprietà della stessa famiglia, quella che aveva costruito la fabbrica o fondato la banca. Altre volte invece la proprietà era frazionata tra molti proprietari: si parla allora di società per azioni, una firma di società che cominciò a diffondersi nella seconda metà dell'Ottocento.


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